di Sergio Scuffi
Sulla strada che da Nogaredo porta a “Piaza Cavrée”, dopo aver oltrepassato in salita i crotti della Piazza ed il “Mot de Mugnina”, si trova un grosso masso, probabilmente depositato sulle pendici della montagna durante il periodo glaciale, insieme al materiale morenico che ancora oggi è visibile nei terrazzamenti di Monastero, Pianezza, Montenuovo ed altri (la Piazza, il “Mot” di S. Andrea).
Il macigno, collocato sopra il sentiero, sulla sinistra rispetto a chi sale, si trova in un punto che sovrasta quasi a strapiombo il torrente Bolgadrena, ed è attraversato, diagonalmente, da una venatura di roccia di diversa conformazione (forse quarzo?), più morbida e friabile, tanto da risultare incavata in forma tale che la fantasia popolare vi ha intravisto le tracce di una grossa catena.
Da qui la leggenda secondo la quale, in quei luoghi, sarebbe vissuta una strega; costei, offesa per qualche motivo dagli abitanti dei villaggi sottostanti, Nogaredo e Schenone, situati ai lati del torrente Bolgadregna, avrebbe pensato di vendicarsi rotolando il masso fin dentro al corso d’acqua, in modo da impedire che esso potesse scorrere regolarmente e fornire l’acqua per tutti i bisogni della gente: lavarsi, preparare i cibi, abbeverare il bestiame (gli acquedotti non c’erano, ma fortunatamente allora i corsi d’acqua non erano inquinati).
Detto fatto, la strega lega il macigno con una grossa catena, tira e tira con tutte le sue forze: tale è la pressione che la catena lascia l’impronta sulla roccia, che però di lì non si smuove. La strega, come si può immaginare, rimane delusa e probabilmente pensa a qualche altra forma di vendetta: intanto il masso è ancora lì a testimoniare, con quei segni, ciò che allora succedeva… così, almeno, pensano quelli che oggi ci raccontano la storia.
Altri racconti di Sergio Scuffi
Racconti & Ricordi*anzianiincasa_2018