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Sindrome da burn-out

La Sindrome di burn-out

Per burn-out s’intende uno stato patologico originato da stress e da esaurimento emotivo, psichico e anche fisico

L’espressione burn out syndrome, in italiano viene tradotta come sindrome da corto circuito

Chi si prende cura di una persona non autosufficiente (caregiver) può sentirsi talmente stanco e teso da mettere in crisi i rapporti interpersonali (Balbo, 1991). Si può verificare una progressiva perdita di ideali, energia e scopi. In tale condizione può accadere che un caregiver assuma atteggiamenti rigidi, distruttivi e rifiuti non solo il proprio lavoro, ma anche le ragioni che l’avevano portato a sceglierlo, può perdere la motivazione che gli permetteva di rispondere in modo adeguato alle richieste dell’assistito.

Nelle situazioni caratterizzate da forte interdipendenza tra chi cura e chi è curato occorre una particolare attenzione per prevenire il burn out. Se il coinvolgimento emotivo nel legame tra caregiver e assistito è molto forte facilmente si perde il controllo della propria vita, si rinuncia ad ogni momento di sollievo perché si rifiuta di essere aiutati da altri, il peso del lavoro aumenta assieme allo stress e tutto ciò fa precipitare l’equilibrio psichico. Si fa urgente l’intervento a favore del caregiver, in particolare, quando il peggioramento delle condizioni di salute dell’anziano lo costringono ad occuparsene a tempo pieno.

Altre potenziali cause di burn out sono riscontrabili nella situazione in cui il caregiver non elabora la consapevolezza delle finalità del proprio lavoro, quando si è sottoposti a richieste eccessive, quando manca un ritorno, in termini di stima o affetto, rispetto al proprio operato: solo se accompagnato e sostenuto dall’apprezzamento delle persone che lo circondano il caregiver riesce a mantenere il proprio equilibrio psicofisico ed a continuare nelle sua opera di assistenza.

La manifestazione caratteristica della sindrome di burn out è l’esaurimento fisico, accompagnato da labilità emozionale che si manifesta in crisi di nervosismo.

Le cause di stress possono dipendere

  • dalla struttura di ruolo, quando non esiste una sufficiente chiarezza sui compiti da svolgere
  • da richieste superiori alla propria disponibilità di tempo e alle forze psicofìsiche
  • quando c’è conflitto tra il ruolo di caregiver e i compiti o le attese degli altri membri della famiglia e, quindi, le relazioni interpersonali anziché essere gratificanti divengono fonte di ulteriore stress (Carrà Mirtini, 2003).

Fattori che determinano o alleviano lo stress del caregiver possono essere individuati negli obiettivi e negli atteggiamenti relativi alle soluzioni future tramite una programmazione che tenga presente sia i risultati del proprio operato sia la connessione delle interdipendenze che si riscontrano in un lavoro d’equipe secondo modalità multidisciplinari, l’integrazione di competenze diverse e la necessità di varie mansioni.

Fattori di stress fanno sì che il caregiver si percepisca come bloccato in un processo di burn out:

  • la realtà sembra opporsi al suo desiderio di uscirne. Più il caregiver cerca di ritrovare le motivazioni iniziali del proprio lavoro, più l’impatto con la realtà risulterà frustrante, inizierà a ripiegarsi su se stesso, a sentirsi colpevole della propria condizione, incapace di immaginare un altro progetto futuro, una qualunque via d’uscita, fino ad entrare in uno stato di apatia: non si coinvolge più a livello emotivo, compie gesti utili all’assistenza in modo distaccato e quasi meccanico e non “si riconosce” più, soprattutto se aveva iniziato questo impegno con l’intento di svolgere l’assistenza con dedizione, competenza e impegno (Carrà Mittini, 2003).

Una via praticabile sembra essere il condividere la riflessione su se stessi, sulla propria professione all’interno di gruppi che svolgono lo stesso tipo di lavoro, ove sia preso in esame anche il rischio di poter cadere in burn out.

Ancora una volta pare utile ricordare che la riflessione in gruppi di mutuo aiuto può portare a sostenere la propria situazione, e a mantenere il desiderio di collaborare con altre professionalità. Ascoltare il parere di altri può aiutare ad elaborare la propria condizione, ritrovare uno scopo per il quale operare, imparare ad avere aspettative realistiche

Trasformazioni nell’assistenza all’anziano non autosufficiente: da donna italiana a straniera

Il nodo problematico della conciliazione tra tempi familiari e lavorativi che la donna si trova ad affrontare quando accede ad una qualche carriera professionale, esige una riflessione sulla famiglia, sulla logica della solidarietà familiare e i suoi bisogni. Il lavoro della donna cambia con il mutamento strutturale della famiglia e ne è, al tempo stesso, fattore causale: la donna che decide di investire le proprie energie ed i propri anni giovanili nella costruzione di un percorso formativo e di una carriera soddisfacente  nel momento in cui sceglie di formare una famiglia, la imposta su modalità e tempi compatibili con la professione.

La famiglia, negli ultimi decenni, è cambiato sia nella struttura relazionale interna sia nei rapporti che i componenti della famiglia intrattengono con l’esterno. Spesso la donna cerca una realizzazione nel mondo esterno, tramite il lavoro, tuttavia, per molte, l’identità femminile continua ad essere radicata nella famiglia e il lavoro esterno viene spesso inteso come opportunità per contribuire alle necessità familiari. Il desiderio di trovare un proprio riconoscimento fuori dalla struttura familiare è vissuto, allora, in modo conflittuale: i bisogni della famiglia si contrappongono a quelli propri, il tempo impiegato per una realizzazione personale è considerato tempo sottratto alla famiglia e origina sensi di colpa difficilmente razionalizzabili, contemporaneamente c’è la consapevolezza della necessità di lavorare per contribuire a mantenere il nucleo familiare. Non può prescindere, tuttavia, dal problema attinente la conciliazione del lavoro extra-familiare, retribuito, con quello domestico non retribuito.

L’impegno della donna al di fuori della famiglia contrasta con l’aumento del bisogno di assistenza dei suoi membri: l’invecchiamento della popolazione, l’accresciuta speranza di vita di molti malati cronici, rendono più ampio lo spettro delle esigenze di assistenza e maggiore il periodo nel quale tale assistenza è necessaria. Contemporaneamente il welfare attuale rivela inadeguatezze che mal si prestano a fornire servizi e interventi integrativi o flessibili in funzione delle esigenze dell’anziano/malato e della sua famiglia. Il complesso stato di cose che ne consegue vede affermarsi la derisione, da parte delle famiglie, di cercare soluzioni autonome, avvalendosi di risorse prodotte direttamente e assumendo sempre più un ruolo decisionale nella richiesta e nell’uso dei servizi. All’interno di questo quadro si colloca il ricorso sempre più massiccio all’assunzione di assistenti familiari, in massima parte straniere.

Con la legge Bossi-Fini del 2002, già nel primo anno 300.000 famiglie hanno proceduto alla regolarizzazione di colf e assistenti familiari che lavoravano al loro servizio. La presenza massiccia dì donne straniere ha mutato radicalmente il sistema dell’assistenza, creando una sorta di welfare sommerso. Si tratta in gran parte di donne provenienti dall’est Europa, mentre è in calo il flusso dall’America Latina. Attualmente la nazionalità romena è quella che ha una presenza più massiccia sul territorio italiano.

Il lavoro delle assistenti familiari favorisce la permanenza dell’anziano in casa propria, consente la realizzazione di scelte di tipo individuale, contribuisce a sviluppare politiche di self-help e, anche se si tratta di figure non professionalizzate, sono ricercate e socialmente accettate in vista del lavoro di cura in famiglia. La decisione di ricorrere alle assistenti familiari spesso non è presa senza difficoltà, in quanto in genere si tende ancora a chiedere alle figlie di gestire da sole la cura degli anziani genitori, per cui la richiesta di aiuto esterno, di solito, scatta solo quando i rapporti all’interno della famiglia o del lavoro sono percepiti a rischio. La presenza delle assistenti familiari dà vita ad un welfare informale nel quale la famiglia si trova a svolgere il nuovo ruolo di datore di lavoro, costruendo un proprio modello di intervento: con l’assunzione di un’assistente le famiglie esternalizzano il lavoro di cura, pur mantenendo l’anziano all’interno della propria abitazione.

 

di Paola Lazzarini (Dottoranda di ricerca in Sociologia e Metodologia della Ricerca Sociale presso l’Università Cattolica di Milano)

Informazioni tratte dall’articolo pubblicato da Elettra Pepe sul sito

http://dimensionesperanza.it/

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