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Ricordi/Il lavoro

Ricordi/Il lavoro

di Adriana Colli

Con un diploma di stenografia e dattilografia, appena sedicenne fui assunta presso un’importante Impresa  con sede a Colico ma con uffici anche a Milano e lavori in Lombardia e oltre, operava in vari settori: edilizia civile, ferroviari, telefonici, linee elettriche, strade e gallerie.

In ufficio si indossava ancora il grembiule nero quindi non ci fu problema per l’abbigliamento. Dopo alcuni anni il nostro Principale, frequentando gli Uffici Anas di Milano notò le impiegate col grembiule di colore azzurro “carta da zucchero” e con nostro piacere lo fornì anche noi.

Il percorso per andare in ufficio era molto lungo ed a piedi lo facevo quattro volte al giorno ma era tanta la soddisfazione di aver trovato quel lavoro che non mi pesava affatto. Anche se si lavorava tutto il giorno ed anche il sabato.

Uno dei primi incarichi fu addetta al telefono, non era facile perché per chiamare un numero bisognava farlo tramite centralino e la risposta non era immediata, si doveva segnare tutto per non confondersi ed attendere di essere richiamati.

Alle volte facevo un tratto di strada con un’amica che era impiegata al centralino telefonico, (Soc. STIPEL) e mi fermavo a vedere il funzionamento, doveva mettere una cuffia da cui partivano dei fili che  collegava ogni volta che si accendeva una lucina rossa in un grande pannello che aveva davanti. La persona che chiamava chiedeva di metterla in collegamento col numero richiesto, se era in paese bastava inserire le spine nei due numeri nel pannello stesso, se era fuori paese doveva prima collegarsi con la centralinista competenze ed attendere il collegamento. Le telefonate si pagavano a tempo, non ricordo i minuti, mentre eri in comunicazione la centralinista ti chiedeva se terminavi o se volevi raddoppiare il tempo.

In paese pochissimi avevano il telefono in casa, però in tutte le frazioni esisteva un bar col telefono pubblico ed il gestore aveva l’incarico di andare a cercare la persona richiesta.

Andavo spesso anche all’Ufficio postale soprattutto per le raccomandate perché la posta semplice si poteva imbucare normalmente nelle apposite cassette, entrando in posta si sentiva sempre un ticchettio alternato ed era il telegrafo usato per i telegrammi e le comunicazioni.

In ufficio la macchina da scrivere e la calcolatrice non erano elettriche. Io usavo molto  la calcolatrice, aveva solo i tasti dei  numeri, serviva per calcolare la paga dei lavoratori.  allora si compilavano dei grandi libroni scritti a mano ed ogni mese si dovevano riportare tutti i nomi dei dipendenti e relativi conteggi, poi su delle buste prestampate si trascrivevano tutti i dati e si inseriva il corrispettivo, prima in contanti e negli anni successivi si passò agli assegni bancari anch’essi scritti a mano e fatti firmare.

Per fare le somme con la calcolatrice meccanica che io chiamavo “macinino”, per ogni numero che battevi da sommare dovevi girare una manovella, per le moltiplicazioni invece battuto il primo numero si girava la manovella dovendo spostare  delle levette per le decine, centinaia, migliaia, del secondo numero. La successiva calcolatrice meccanica in dotazione,  migliorò un pochino l’utilizzo perché alcuni tasti si spostavano con la sinistra così si potevano usare le due mani   Non facevano le divisioni.

Con la prima calcolatrice elettrica per solo somme e moltiplicazioni, si faceva meno fatica però quando si mettevano in funzione sembrava di essere in una officina, cioè come i rumori di martelli, lime ed attrezzi vari per la lavorazione del ferro, tanto sentivi gli ingranaggi calcolatori, ed era pure molto ingombrante sulla scrivania. Poi fu la volta della “divisumma” cioè come la precedente ma faceva anche le divisioni.

Solo nel 1970 ebbi la prima calcolatrice… piccola, verde, silenziosa, portatile… “Sharp”

Si susseguirono ulteriori nuovi modelli di calcolatrici e sempre più precise e veloci, finii comunque i miei anni lavorativi di addetta  alle paghe, impostando i dati necessari su una tastiera del computer ed un elaboratore stampava i cedolini paga, le buste ed anche gli assegni.   (Ora penso che vengano direttamente accreditati sul conto corrente bancario del dipendente)

I miei primi stipendi, anche se piccoli, (circa Lire 57.000 mensili) servivano in famiglia però dopo un anno di lavoro, potei acquistare il mio primo piccolo orologio d’oro, era necessario per la puntualità in ufficio. Lo conservo a tutt’oggi  -dopo una  recente riparazione- ancora funzionante caricandolo con la rotellina. Così pure mi ricordo: il mio primo cappotto, la prima borsa, le prime scarpe col tacco, la prima penna stilografica. Poi seguì una piccola radio, l’ascolto principale era la musica e le canzoni del festival di Sanremo. Tutti gli anni si acquistava  il canzoniere e quelle che piacevano di più si cantavano spesso. Per rendere l’idea i cantanti preferiti erano: Claudio Villa, Beniamino Gigli, Nilla Pizzi, Gino Latilla, Giorgio Consolini, Achille Togliani, Domenico Modugno….

Apprezzo altri cantanti più attuali però non chiedetemi chi ha vinto il Festival di Sanremo negli ultimi 30-40 anni. La musica classica rimane comunque la mia preferita. Nel mio poco tempo libero, soprattutto alla sera, non sempre potevo accendere la radio perché al nonno dava fastidio e l’unica presa di corrente era in cucina. Iniziai così  con la lettura di libri ma soprattutto mettendo in pratica quanto imparato a scuola nelle ore di lavoro. Allora era usanza in previsione di un futuro matrimonio, preparare il corredo. Iniziai con le tele per lenzuola matrimoniali di cotone che prendevo uno alla volta. Uno solo mi permisi in misto lino. Per il lenzuolo sotto bastavano degli orli a giorno mentre il sopra oltre all’orlo con greche varie sempre togliendo dei fili, ricamavo tutta la striscia a vista. Pure alcune tovaglie e tovaglioli, comprese quelle bianche in fiandra le ho rifinite a mano con l’orlo a giorno. Una tovaglia che ho particolarmente ricamata, penso di averla usata una sola volta. Questi tessuti li acquistai allo spaccio del cotonificio che esisteva allora a Bellano, tramite una zia che vi lavorava.

Nei primi anni 1960 acquistai una macchina da cucire “Singer” al costo di Lire 163.500 conservo ancora le ricevute. Lire 63.000 d’anticipo e due rate da Lire 50.250. 

Venne usata soprattutto dalla mamma, per me è solo un ricordo.

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