di Giulio Ghirelli
Seconda parte / “La donna dei fari”
“Azz!!” esclamò dentro di sé Joaquim Righeleira, detto Joao, quando, mentre si trovava sdraiato sulla sabbia di una solitaria caletta dell’Isola di Sant’Antioco, gli piombò qualcosa sulla testa.
L’ultima attività di Joao, madeirense da molte generazioni, era stata quella di guardiano del faro su un isolotto posto a sette miglia a ovest dell’Arcipelago di Madera, chiamato Scoglio della sirena.
Ma poi, la Marina Portoghese lo aveva ricoverato in un centro di assistenza, poiché Joao era stato dichiarato inabile al lavoro, dato che un giorno gli uomini della barca dei rifornimenti, giunta allo Scoglio della sirena, lo avevano trovato sulla scogliera, macilento e in deficit mentale, che cantava un’ode dedicata a una misteriosa sirena chiamata Ilia. E dopo quella ode, Joao non parlò più.
Non parlò più, perché nessuno gli avrebbe creduto, se avesse detto di avere baciato sulla bocca una sirena che aveva raccolto dal mare mezza morta. E che invece, dopo un giorno e una notte con lui sullo scoglio, era sparita lasciandogli come ricordo un disegno di onde di mare, che però il vento gli aveva rubato dalle dita e fatto finire in acqua. Lo avrebbero preso per pazzo se avesse raccontato quel fatto. Un anno dopo, la Marina Portoghese, dichiarandolo capace di intendere e volere, pur se muto come un pesce, lo dimise dal centro, assegnandogli una dignitosa pensione di inabilità.
Da allora, Joao, che era rimasto legato ai fari, aveva letto tutto ciò che c’era da leggere su di questi, e poiché ne aveva scovati diversi in Italia, si era impegnato a studiare l’italiano, perché anche non parlando, doveva conoscere la lingua del paese in cui avrebbe girato per una buona parte di tempo.
Dopo di che, aveva fatto i bagagli e si era imbarcato con la sua auto su un traghetto che da Funchal andava a Lisbona. Da lì, si era fatto quasi 1300 chilometri fino a Barcellona, dove era salito su un altro traghetto diretto a Porto Torres, in Sardegna. Poi aveva percorso circa 300 chilometri verso sud, fino ad arrivare all’Isola di Sant’Antioco. Sulla strada costiera che scendeva sul lato ovest della Sardegna, aveva adocchiato diversi fari che lo avevano tentato a fermarsi, ma aveva tirato dritto, dato che il primo faro del suo viaggio doveva essere quello dello Scoglio Mangiabarche, perché il nome coincideva letteralmente con quello della sua vicenda.
In tempi antichi, prima della costruzione del faro allo Scoglio della sirena, su quel piccolo isolotto vi si erano incagliate molte imbarcazioni, al punto che i naviganti che solcavano quel tratto di mare lo avevano soprannominato: Pedra come barcos, cioè: Scoglio mangia barche.
Aveva raggiunto una caletta nella zona della tonnara, che era di fronte al faro -che da lì si vedeva bene a occhio nudo- e poi col suo binocolo aveva potuto osservarne ogni dettaglio.
Poi, soddisfatto, si era sdraiato sulla spiaggia a perdersi nei suoi ricordi.
Quando poco dopo qualcosa lo aveva colpito violentemente sulla fronte.
“Azz!!”. Si alzò di scatto e vide sulla sabbia l’oggetto che lo aveva colpito. Si guardò in giro, ma c’era solo lui. Alzò gli occhi verso il cielo. Ma dal cielo sardo piovono forse pentolini? Perché di quello si trattava: un pentolino di acciaio ridotto molto male, come tutte le pentole carbonizzate.
Però poteva essere piovuto da quella casa semi-nascosta dai grandi cespugli di oleandri, posta sulla scogliera una ventina di metri sopra la caletta. Da quell’altura, un sentiero scendeva alla spiaggia.
Toccandosi la fronte, dove era spuntato un bernoccolo grosso quanto una nocciola, Joao raccolse da terra il corpo contundente e risalì il sentiero, fino ad arrivare a uno spiazzo con un giardino situato davanti alla casa che aveva visto dalla spiaggia. Lo attraversò, arrivò davanti alla porta e bussò.
E poco dopo la porta si aprì e apparve una donna di carnagione chiara, sui cinquant’anni, con dei lunghi capelli colore dell’oro e gli occhi blu, che per qualche arcano nesso, gli ricordò la sirena Ilia.
Davanti a quella donna, dopo un anno di mutismo assoluto, a Joao tornò il desiderio di parlare.
In quell’erudito italiano che aveva a lungo studiato, le disse: “Buongiorno signora, scusi il disturbo, ma questo pentolino è forse suo?”. Lei guardò lo sconosciuto che le mostrava l’oggetto, e dopo che ebbe annuito sospettosa, lui disse: “Se lanciava anche il coperchio, mi facevo il set completo”.
“Lancio le pentole ma non i coperchi” fece lei, impassibile. Diavolo! pensò Joao. Ma fu un pensiero effimero, perché tutto poteva essere quella donna, ma non certo il demonio. Anzi, l’opposto.
Poi, vedendo il bozzo sulla fronte, che Joao le stava indicando, la signora fu folgorata da un dubbio: “Non mi dica che le è arrivato in testa il pentolino!”. “Glielo dico sì, giù alla spiaggia” le rispose.
“Ohhh! Quanto mi dispiace! Non li lancio mai così lontano. Ma oggi sono energicamente nervosa, dato che è il secondo che brucio. Me li dimentico sempre sul fornello acceso con dentro qualcosa. Con quello che ha in mano lei, mi stavo preparando una limonata calda coi limoni del giardino. Ma mentre dipingo, sono così assorta.. Meno male che prima di lanciarlo ho tolto la limonata bruciata”.
“Meno male sì” confermò Joao, e poi le chiese: “Lei dipinge?”. “E’ il mio lavoro. Ma entri in casa, che le metto la borsa del ghiaccio sul bozzo, signor…? “Joaquim Righeleira, detto Joao” le rispose porgendole la mano. “Piacere, io sono Maurilia Selinas, in arte Ilia”.
A sentire quel nome, Joao era rimasto sbigottito. Ma cosa potevano significare quelle coincidenze? La somiglianza… e il medesimo nome! Quale scherzo del destino, lo aveva portato a quella casa?
“Non sta bene? E’ diventato smorto! La botta che ha preso… non avrà un trauma? Venga a sedersi, che le metto la borsa del ghiaccio” gli disse. E prendendolo sottobraccio, lo condusse dentro casa.
E appena messo piede nell’ingresso, Joao si trovò circondato da degli splendidi dipinti di fari.
Ilia lo fece accomodare su una poltroncina, e poi andò a prendere la borsa del ghiaccio e gliela mise sulla fronte. E mentre gli prestava quel soccorso, gli disse: “Dal nome e dall’accento, immagino che lei sia di un paese iberico, è qui in vacanza?”.
“Sono portoghese -rispose lui- e discendo da varie generazioni di naviganti. Sono venuto in Italia perché sono appassionato di fari, e nel vostro paese ce ne sono tanti che vorrei vedere”.
“Anch’io ho questa passione, e credo che l’abbia capito dai miei quadri. E non lascerò mai questa casa, anche se è isolata, perché è qui che ho iniziato a dipingere, grazie al faro che vedo da questo posto. Ho fatto dei viaggi per disegnare fari, ma quello dello Scoglio Mangiabarche è unico. Come è unico il suo nome. Lei sa perché si chiama così?”. “Non saprei…” rispose lui, e invece lo sapeva molto bene. Ma era talmente piacevole la voce di Ilia, che mentì per continuare a sentirla parlare.
“Lo scoglio è poco visibile dalla superficie del mare, e fino ai primi decenni del secolo scorso, fino a quando non venne costruito il faro, era un rilevante pericolo per i naviganti. Molti di loro persero le imbarcazioni urtando lo scoglio, e per questo venne chiamato: Mangiabarche. E credo che non ci sia bisogno di spiegarle il significato di questo nome. Ma posso chiederle da dove nasce questa sua passione per i fari, per arrivare fin qui?”.
“E’ nata dopo uno straordinario episodio della mia vita, e potrei raccontarle una storia incredibile, una vicenda che mi è capitata quando ero il guardiano di un faro su uno scoglio nel mare Atlantico. Un fatto che non ho mai raccontato a nessuno, perché mi avrebbero preso per pazzo. Però a lei mi sentirei di raccontarlo, perché adesso che l’ho conosciuta…”.
“Sei stato il guardiano di un faro nell’Atlantico?” esclamò Ilia, dandogli con naturalezza del tu.
E poi: “Che esperienza straordinaria! Sarei felicissima di ascoltarla, se hai tempo…”.
“Volentieri. Però ti chiedo tre favori: per primo, di togliermi la borsa del ghiaccio dalla fronte, che si sta congelando. Poi, se ti va di fare un caffè, magari senza fare bruciare la caffettiera. E infine, vorrei vedere i tuoi quadri. Dopo di che, ti racconto la mia incredibile storia”.
Dopo il caffè, Ilia lo condusse in giro per la casa a vedere le sue opere, e anche se Joao non glielo disse, era certo che tra quei dipinti c’erano delle onde di mare identiche a quelle fatte dalla sirena.
“Non ci sono tutti, molti sono a Cagliari per una mostra che mi ha organizzato l’Ente del Turismo, e che inizia domani” disse lei.
Infine, si sedettero in giardino, dove Joao si accorse di quale splendida veduta rappresentasse il faro da quel belvedere. Quindi iniziò a raccontare. E Ilia lo ascoltò con lo sguardo incantato, come una bambina a cui si racconta una favola. E quando lui smise di parlare, lei restò con quell’espressione ancora qualche momento, come se si fosse persa in quella favola.
Stava tramontando il sole, era ora di accomiatarsi. Ma mentre stavano salutandosi, lei gli disse: “Se puoi fermarti qui fino a domani, mi farebbe piacere portarti a vedere la mia mostra. Per dormire ho una camera per gli ospiti. Non ti conosco, e mai più farei un simile invito a uno sconosciuto, ma dopo avere ascoltato la tua storia…”. “Non avrei potuto aspettarmi qualcosa di più bello” rispose.
“Penso che dovrai andare a prendere il tuo necessaire. Dove hai lasciato la macchina? ” gli chiese.
“L’ho lasciata sulla strada litoranea, dove inizia il sentiero che porta alla spiaggia qui sotto”.
“Allora ti faccio fare la mia stradina, così non devi andare giù alla caletta e poi risalire”.
Percorsero una stradella sterrata fino ad arrivare alla strada litoranea, e qualche decina di metri più avanti arrivarono all’auto di Joao. Lui prese ciò che gli serviva per la notte e poi tornarono indietro.
“Ami la solitudine, perché vivere qui…” disse lui. “Vivrei ancor meglio là” rispose Ilia indicando il faro, che con i colori del tramonto era talmente fantastico da sembrare un’illusione.
Arrivati a casa, lei disse: “Cucinare non è la mia passione, ma una pasta al pomodoro riesco a farla. Oppure taglio delle fette di salame nostrano e una buona caciotta sarda con l’insalata del mio orto. E se ti piace il vino rosso, ho una vecchia bottiglia di Cannonau che aspettava l’occasione giusta per essere stappata”. “Perché vuoi mettere a rischio altre pentole? Va benissimo l’alternativa -disse lui ridacchiando- e visto che non devo guidare, un buon bicchiere di vino… e magari anche due!”.
Quella frugale cena valeva mille banchetti di nozze, per non dire del vino, di cui restò solo il fondo.
Il Cannonau fece l’effetto soporifero a entrambi, al punto di essere concordi di andare a dormire senza nemmeno bere il caffè.
Ilia gli fece strada fino alla camera degli ospiti, e poi si diedero la buonanotte.
Ma lui non dormì sonni profondi, dato che tutto quello che gli era capitato quel pomeriggio era così straordinario, da farlo rigirare nel letto con troppe domande in testa. Tra le quali: che cosa sarebbe riuscito a dire a Ilia, se fosse andato a bussare alla porta della sua camera.
E in compagnia di tutti i suoi pensieri, vide farsi giorno.
Al mattino fecero colazione in giardino, e il paesaggio marino col faro, per Joao fu più dolce del caffè con le quattro zollette di zucchero. Poi lui prese il suo piccolo bagaglio e uscirono per andare a prendere le loro auto. Quella di Ilia era poco distante dalla sua. Presero la strada statale, e in un paio d’ore fecero quasi un centinaio di chilometri per arrivare a Cagliari. E meno di mezz’ora dopo furono davanti al Centro Congressi della Fiera, dove Joao scoprì quanto doveva essere considerata Ilia, per meritare l’onore di esporre i suoi quadri in quella prestigiosa sede.
Tra tutti i dipinti, Joao ne vide uno che rappresentava il faro dello Scoglio Mangiabarche.
Era stupendo, ed era il primo che vedeva di quel faro, perché a casa della pittrice non ne aveva visti. “Che meraviglia! Il più bello dei tuoi fari. Se sei disposta a darmelo, me lo porto via” le disse.
“Mi spiace, ma l’ho già promesso a un mio collezionista. Ma quando, e se, tornerai in Sardegna, te ne farò trovare uno simile”. E in quella risposta, Joao si immaginò molte cose, e non gli riuscì di trovare un altro faro che gli piacesse come quello. Però vide un dipinto straordinario, che era un soggetto diverso. Raffigurava un veliero che si cimentava contro le ondate di una burrasca, che gli ricordava le bufere che di notte scaricavano la loro veemenza sul faro dove aveva vissuto la parte più significante della sua vita. Quel quadro rappresentava l’impari lotta di tutti quei naviganti pronti all’estremo sacrificio, che combattendo contro l’immane forza del mare, cercano di portare in salvo il veliero e sé stessi.
E con nelle vene il sangue dei naviganti, nessuno più di lui poteva capire quel quadro.
“La scena di questo quadro mi tocca il cuore come nessun’altro quadro di mare che abbia mai visto. E’ meraviglioso, pieno di forza, e struggente nella sua drammaticità. Se fossi disposta a cedermelo, sarebbe la cosa più significativa che avrei nella mia casa” disse a Ilia.
“Anche per me è uno dei più bei lavori che ho fatto, e ci sono molto affezionata. Molti me lo hanno chiesto in tutte le mostre dove l’ho esposto, ma non l’ho mai voluto vendere. Ma ho capito che per te questo quadro non è soltanto un bel dipinto, e allora te lo cedo con piacere” rispose lei.
“Ti sono infinitamente grato. L’unico problema sono le dimensioni. E’ troppo grande per portarlo in giro nel mio viaggio. Se puoi trovare il modo di spedirmelo, ti lascio il mio indirizzo. Ti manderò un messaggio telefonico quando sarò tornato a casa”.
“Ti prometto di farlo. E tu mi prometti di spedirmi il racconto della Scoglio della sirena?”.
Si salutarono con quelle promesse. E così avvenne. Lei gli spedì il quadro, e lui il racconto.
Qualche tempo dopo, Ilia ricevette un messaggio con la fotografia di dove era stato collocato il suo quadro nell’abitazione di Joao a Funchal: in fianco alla finestra che dava sul mare. Insieme a quella foto, ce n’era un’altra in cui si vedeva un vecchio faro su un isolotto, con scritte sotto queste parole: Se vorrai dipingere uno dei tuoi più bei fari, vieni a Madera, e ti porterò allo Scoglio della sirena.
“L’uomo del faro” (Prima parte )
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